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La storia della guerra di Troia, come quella degli Argonauti, ha subito, nel corso del tempo, molti cambiamenti e ampliamenti. Il nucleo della storia è contenuto nei due poemi epici di Omero: l’Iliade e l’Odissea. Gli incidenti, narrati o brevemente toccati in questi, furono elaborati o sviluppati dai poeti post-omerici, in parte collegandoli con altre tradizioni popolari, e in parte aggiungendo ulteriori dettagli di loro invenzione. Mentre in Omero è semplicemente lo stupro di Elena che è l’occasione della guerra, una leggenda successiva ne fa risalire l’origine al matrimonio di Peleo e Teti, quando Eris gettò tra gli dei riuniti la mela d’oro con la scritta Per la più bella. La disputa che ne seguì tra Era, Atena e Afrodite per il premio di bellezza fu decisa da Paride a favore di Afrodite, che in cambio gli assicurò il possesso di Elena, mentre Era e Atena divennero, da quel momento in poi, i nemici implacabili dell’intera razza troiana. Secondo Omero, dopo che Elena fu portata via da Paride, Menelao e Agamennone visitarono a turno tutti i capi greci e li convinsero a prendere parte alla spedizione che stavano preparando per vendicare il torto. Secondo il resoconto successivo, la maggior parte dei capi erano già vincolati a seguire la spedizione da un giuramento, che avevano fatto a Tyndareos. Agamennone fu scelto come comandante in capo; accanto a lui gli eroi greci più importanti sono suo fratello Menelao, Achille e Patroclo, i due Aiace, Teucro, Nestore e suo figlio Antilochus, Odisseo, Diomede, Idomeneo e Filottete, che però all’inizio della spedizione dovette essere lasciato indietro, e non appare sulla scena dell’azione fino a poco prima della caduta di Troia. Le epopee successive aggiungono il nome di Palamede. L’intero esercito di 100.000 uomini e 1.186 navi si riunì nel porto di Aulis. Qui, mentre stavano sacrificando sotto un platano, un serpente uscì da sotto l’altare e salì sull’albero, e lì, dopo aver divorato una covata di otto giovani passeri e la stessa madre-uccello, fu trasformato in pietra. Questo presagio Calchas, il veggente dell’esercito, interpretò che la guerra sarebbe durata nove anni e si sarebbe conclusa nel decimo con la distruzione di Troia. Agamennone aveva già ricevuto un oracolo dal dio delfico che Troia sarebbe caduta quando i migliori greci avessero litigato. In Omero la traversata verso Troia segue immediatamente; ma nel racconto successivo i Greci dapprima sbarcano per errore in Misia, nel paese di Telefo (q.v.), ed essendo dispersi da una tempesta e ricacciati in Grecia, si riuniscono di nuovo ad Aulis, da dove sono autorizzati a partire solo dopo il sacrificio di Ifigenia (un incidente interamente sconosciuto ad Omero). Da parte greca il primo a cadere è Protesilaiis, che è il primo a sbarcare. Lo sbarco non può avvenire prima che Achille abbia ucciso il potente Cycnus (q.v., 2). Dopo aver piantato il loro campo, Odisseo e Menelao procedono come ambasciatori a Troia, per chiedere la resa di Elena. Ma questa proposta, nonostante l’inclinazione di Elena stessa e l’ammonimento del troiano Antenore, cade a terra, a causa dell’opposizione di Paride, e viene dichiarata la guerra. Il numero dei Troiani, il cui eroe principale è Ettore, ammonta a malapena alla decima parte di quello degli assedianti; e sebbene abbiano l’aiuto di innumerevoli alleati coraggiosi, come Enea, Sarpedonte e Glauco, per paura di Achille non osano rischiare uno scontro generale. D’altra parte, gli Achei non possono fare nulla contro la città ben fortificata e difesa, e si vedono limitati a tendere imboscate e a devastare la campagna circostante, e costretti per mancanza di provviste a ricorrere a spedizioni di foraggiamento nelle vicinanze, intraprese per mare e per terra sotto la guida di Achille. Alla fine arriva il decimo anno decisivo. L’Iliade omerica narra gli eventi di questo anno, limitandosi allo spazio di cinquantuno giorni. Crise, di Apollo, viene in abito sacerdotale nel campo dei Greci per riscattare sua figlia Criseide da Agamennone. Viene rudemente respinto, e Apollo di conseguenza visita i Greci con una peste. In un’assemblea dei Greci convocata da Achille, Calchas dichiara che l’unico mezzo per placare il dio è la consegna della ragazza senza riscatto. Agamennone acconsente al desiderio generale; ma, a titolo di compensazione, toglie ad Achille, che considera l’istigatore di tutto il complotto, la sua favorita, la schiava Briseis. Achille si ritira infuriato nella sua tenda, e implora sua madre Teti di ottenere da Zeus la promessa che i Greci debbano andare incontro a disastri nella lotta contro i Troiani finché Agamennone non dia al figlio piena soddisfazione. I Troiani scendono subito in campo aperto, e Agamennone è indotto da una promessa di vittoria, trasmessa in sogno da Zeus, a fissare il giorno seguente per la battaglia. Gli eserciti sono già l’uno di fronte all’altro, pronti a combattere, quando si accordano su un patto che il conflitto per Elena e i tesori rubati sia deciso da un duello tra Paride e Menelao. Paride viene sconfitto nel duello e viene salvato dalla morte solo dall’intervento di Afrodite. Quando Agamennone preme per l’adempimento del trattato, il troiano Pandarus rompe la pace scagliando una freccia contro Menelao, e inizia il primo scontro aperto nella guerra, in cui, sotto la protezione di Athene, Diomede compie miracoli di coraggio e ferisce anche Afrodite e Ares. Diomede e il licio Glauco sono sul punto di combattere, quando si riconoscono l’un l’altro come ospiti-amici ereditari. Ettore passa dalla battaglia a Troia, e la giornata si conclude con un duello indeciso tra Ettore e Aiace figlio di Telamone. Nell’armistizio che segue entrambe le parti seppelliscono i loro morti, e i Greci, agendo su consiglio di Nestore, circondano il campo con un muro e una trincea. Quando il combattimento ricomincia, Zeus proibisce agli dei di prendervi parte e ordina che la battaglia si concluda con la sconfitta dei Greci. La notte seguente Agamennone comincia già a meditare la fuga, ma Nestore consiglia la riconciliazione con Achille. Gli sforzi degli ambasciatori sono però infruttuosi. Odisseo e Diomede escono in ricognizione, catturano Dolon, una spia troiana, e sorprendono Reso (q.v.), re dei Traci, il nuovo alleato del nemico. Il giorno successivo il coraggio di Agamennone respinge i Troiani verso le mura della città; ma lui stesso, Diomede, Odisseo e altri eroi lasciano la battaglia feriti, i Greci si ritirano dietro le mura del campo, per attaccare le quali i Troiani partono in cinque distaccamenti. L’opposizione dei Greci è coraggiosa; ma Ettore rompe il rozzo cancello con una pietra, e il flusso dei nemici si riversa senza ostacoli nel campo. Ancora una volta gli eroi greci che sono ancora in grado di partecipare alla battaglia, soprattutto i due Aiace e Idomeneo, riescono con l’aiuto di Poseidone a respingere i troiani, mentre Aiace Telamone abbatte Ettore con una pietra; ma quest’ultimo riappare presto sul campo di battaglia con nuove forze concessegli da Apollo per ordine di Zeus. Poseidone è costretto a lasciare i Greci al loro destino; essi si ritirano di nuovo sulle navi, che Aiace difende invano. La nave più importante sta già bruciando, quando Achille cede alle suppliche del suo amico Patroclo e lo manda, con la sua armatura, con i Mirmidoni in aiuto dei Greci in difficoltà. Supponendo che si tratti di Achille stesso, i Troiani in preda al terrore fuggono dal campo davanti a Patroclo, che li insegue fino alla città e abbatte un gran numero di nemici, compreso il coraggioso Sarpedonte, il cui cadavere viene salvato dai Greci solo dopo una dura lotta. Alla fine Patroclo stesso viene ucciso da Ettore con l’aiuto di Apollo; le armi di Achille sono perdute, e anche il cadavere viene salvato con difficoltà. A questo punto Achille si pente della sua rabbia, si riconcilia con Agamennone, e il giorno seguente, dotato di una nuova e splendida armatura da Efesto su richiesta di Teti, vendica la morte del suo amico su innumerevoli troiani e infine su Ettore stesso. Con la sepoltura di Patroclo e i giochi funebri stabiliti in suo onore, la restituzione del cadavere di Ettore a Priamo e la sepoltura di Ettore, per la quale Archille concede un armistizio di undici giorni, si conclude l’Iliade. Subito dopo la morte di Ettore, le leggende successive portano le Amazzoni in aiuto dei Troiani, e la loro regina Pentesilea viene uccisa da Achille. Poi appare Memnon, che è anche menzionato da Omero; alla testa dei suoi Etiopi uccide Antilochus figlio di Nestore, ed è lui stesso ucciso da Achille. E ora arriva l’adempimento dell’oracolo dato ad Agamennone a Delfi; perché ad un banchetto sacrificale nasce una violenta lite tra Achille e Odisseo, quest’ultimo dichiara che l’unico mezzo per conquistare Troia è l’astuzia e non il valore. Poco dopo, nel tentativo di entrare con la forza nella città ostile attraverso la porta di Scaean, o, secondo la leggenda successiva, al matrimonio della figlia di Priamo, Polissena, nel tempio di Apollo Thymbraean, Achille cade ucciso dalla freccia di Paride, diretta dal dio. Dopo la sua sepoltura, Teti offre le braccia di suo figlio come premio per il più coraggioso degli eroi greci, e vengono assegnate a Odisseo. Allora il suo concorrente, il Telamone Aiace, si uccide. Per queste perdite, tuttavia, i Greci trovano qualche compensazione. Su ammonimento di Elena, figlio di Priamo, che era stato catturato da Odisseo, che Troia non poteva essere conquistata senza le frecce di Eracle e la presenza di un discendente di Eaco, portano al campo Filottete, l’erede di Eracle, che era stato abbandonato su Lemnos, e Neottolemo, il giovane figlio di Achille, che era stato allevato su Seyros. Quest’ultimo, degno figlio di suo padre, uccide l’ultimo alleato dei Troiani, Euripilo, il coraggioso figlio di Telefo; e Filottete, con una delle frecce di Eracle, uccide Paride. Anche quando l’ultima condizione per la cattura di Troia, cioè la rimozione del Palladio dal tempio di Atena sulla cittadella, è stata soddisfatta con successo da Diomede e Odisseo, la città può essere presa solo a tradimento. Su consiglio di Atena, Epeo, figlio di Panopeo, costruisce un gigantesco cavallo di legno, nel cui ventre si nascondono i più coraggiosi guerrieri greci sotto la direzione di Odisseo, mentre il resto dei Greci brucia il campo e si imbarca su una nave, per poi ancorarsi dietro Tenedos. I troiani, uscendo a frotte dalla città, trovano il cavallo e sono in dubbio su cosa farne. Secondo la leggenda successiva, vengono ingannati dall’infido Sinone, un parente di Ulisse, che è rimasto indietro di sua spontanea volontà. Egli finge di essere sfuggito alla morte per sacrificio a cui era stato condannato dalla malizia di Odisseo, e che il cavallo è stato eretto per espiare il furto del Palladio; distruggerlo sarebbe stato fatale per Troia, ma se fosse stato posto sulla cittadella, l’Asia avrebbe conquistato l’Europa. La sorte di Laocoonte (q.v.) toglie l’ultimo dubbio dalla mente dei Troiani; essendo la porta della città troppo piccola, essi abbattono una porzione delle mura, e portano il cavallo sulla cittadella come offerta dedicatoria per Atena. Mentre si abbandonano a trasporti di gioia, Sinone nella notte apre la porta del cavallo. Gli eroi scendono, e accendono le fiamme che danno alla flotta greca il segnale preconcordato per il suo ritorno. Così Troia viene catturata; tutti gli abitanti vengono uccisi o portati in schiavitù, e la città viene distrutta. Gli unici sopravvissuti della casa reale sono Elena, Cassandra e la moglie di Ettore, Andromaca, oltre a Enea (q.v.; per il destino degli altri vedi DEIPHOBUS, HECUBA, POLYDORUS, 2, POLYXENA, PRIAM, TROILUS). Dopo che Troia è stata distrutta e saccheggiata, Agamennone e Menelao, contrariamente all’usanza, chiamano i Greci ubriachi ad un’assemblea la sera. Ne segue una divisione, la metà si schiera con Menelao nel desiderio di tornare subito a casa; mentre Agamennone e l’altra metà vogliono prima placare con un sacrificio la divinità di Atena, che è stata offesa dall’oltraggio del locrese Aiace (vedi AIAS, 1). Di conseguenza, l’esercito si mette in viaggio in due parti. Solo Nestore, Diomede, Neottolemo, Filottete e Idomeneo arrivano a casa sani e salvi, mentre Menelao e Odisseo devono prima subire peregrinazioni per molti anni. La morte sorprende l’Aiace locrese sul mare, e Agamennone subito dopo il suo arrivo a casa.