Dopo essere tornato dalla Groenlandia, l’anonimo autore dell’antica opera norvegese di storia naturale Konungs skuggsjá (c. 1250 circa) descrisse in dettaglio le caratteristiche fisiche e il comportamento alimentare di queste bestie. Il narratore proponeva che ne esistessero solo due, partendo dall’osservazione che le bestie sono sempre state avvistate nelle stesse zone del Mare di Groenlandia, e che ognuna sembrava incapace di riprodursi, dato che non c’era aumento del loro numero.
C’è un pesce di cui non si è ancora parlato, di cui è sconsigliabile parlare per le sue dimensioni, perché ai più sembrerà incredibile. Ci sono solo pochissimi che possono parlarne chiaramente, perché raramente si trova vicino alla terra e non appare dove può essere visto dai pescatori, e suppongo che non ci siano molti pesci di questo tipo nel mare. Il più delle volte nella nostra lingua lo chiamiamo hafgufa (“kraken” nella traduzione di Laurence M. Larson). Né posso parlare con certezza della sua lunghezza in elle, perché le volte che si è mostrato davanti agli uomini, è apparso più come terra che come un pesce. Né ho sentito che uno sia stato catturato o trovato morto; e mi sembra che non debbano essercene più di due negli oceani, e ritengo che ognuno sia incapace di riprodursi, perché credo che siano sempre gli stessi. Poi, non andrebbe bene nemmeno per gli altri pesci se le hafgufa fossero in numero tale come le altre balene, a causa della loro vastità, e di quanta sussistenza hanno bisogno. Si dice che sia la natura di questi pesci che, quando uno desidera mangiare, tira su il collo con un grande rutto, e in seguito a questo rutto esce molto cibo, così che tutte le specie di pesci che sono a portata di mano verranno a presentarsi, poi si riuniranno, sia piccoli che grandi, credendo di ottenere il loro cibo e un buon pasto; ma questo grande pesce lascia la sua bocca aperta per tutto il tempo, e lo spazio non è meno ampio di quello di un grande suono o ansa. E nemmeno i pesci evitano di corrervi insieme nel loro gran numero. Ma appena il suo stomaco e la sua bocca sono pieni, allora chiude le sue mascelle e fa catturare e rinchiudere tutti i pesci che prima venivano avidamente a cercare il cibo.
Nella versione della fine del XIII secolo della vecchia saga islandese Örvar-Oddr è inserito un episodio di un viaggio diretto a Helluland (isola di Baffin) che porta i protagonisti attraverso il mare di Groenlandia, e qui avvistano due enormi mostri marini chiamati Hafgufa (“nebbia marina”) e Lyngbakr (“schiena di erica”). Si ritiene che l’hafgufa sia un riferimento al kraken:
ú mun ek segja þér, at þetta eru sjáskrímsl tvau, heitir annat hafgufa, en annat lyngbakr; er hann mestr allra hvala í heiminum, en hafgufa er mest skrímsl skapat í sjánum; er þat hennar náttúra, at hon gleypir bæði menn ok skip ok hvali ok allt þat hon náir; hon er í kafi, svá at dægrum skiptir, ok þá hon skýtr upp hǫfði sínu ok nǫsum, þá er þat aldri skemmr en sjávarfall, at hon er uppi. Nú var þat leiðarsundit, er vér fórum á millum kjapta hennar, en nasir hennar ok inn neðri kjaptrinn váru klettar þeir, er yðr sýndiz í hafinu, en lyngbakr var ey sjá, er niðr sǫkk. En Ǫgmundr flóki hefir sent þessi kvikvendi í móti þér með fjǫlkynngi sinni til þess at bana þér ok ǫllum mǫnnum þínum; hugði hann, at svá skyldi hafa farit fleiri sem þeir, at nú druknuðu, en hann ætlaði, at hafgufan skyldi hafa gleypt oss alla. Nú siglda ek því í gin hennar, at ek vissa, at hún var nýkomin upp.
Ora vi dirò che ci sono due mostri marini. Uno si chiama hafgufa ], un altro lyngbakr ]. È la più grande balena del mondo, ma l’hafgufa è il più grande mostro del mare. E’ la natura di questa creatura di inghiottire uomini e navi, e anche balene e tutto ciò che le capita a tiro. Rimane sommersa per giorni, poi rialza la testa e le narici in superficie e rimane così almeno fino al cambio di marea. Ora, quel suono che abbiamo appena attraversato era lo spazio tra le sue fauci, e le sue narici e la mascella inferiore erano quelle rocce che apparivano nel mare, mentre il lyngbakr era l’isola che abbiamo visto affondare. Tuttavia, Ogmund Tussock vi ha mandato queste creature con la sua magia per causare la morte vostra e di tutti i vostri uomini. Pensava che altri uomini avrebbero fatto la stessa fine di quelli che erano già annegati, e si aspettava che la hafgufa ci avrebbe inghiottiti tutti. Oggi ho navigato attraverso la sua bocca perché sapevo che era emersa da poco.
Il famoso naturalista svedese del XVIII secolo Carl Linnaeus incluse il kraken nella prima edizione del suo catalogo naturale sistematico Systema Naturae del 1735. Lì diede all’animale il nome scientifico Microcosmus, ma lo omise nelle edizioni successive.
Il kraken fu ampiamente descritto da Erik Pontoppidan, vescovo di Bergen, nel suo Det første Forsøg paa Norges naturlige Historie “Il primo tentativo di storia naturale della Norvegia” (Copenhagen, 1752). Pontoppidan fece diverse affermazioni riguardo al kraken, compresa l’idea che la creatura a volte veniva scambiata per un’isola e che il vero pericolo per i marinai non era la creatura stessa, ma piuttosto il vortice lasciato nella sua scia. Tuttavia, Pontoppidan ha anche descritto il potenziale distruttivo della bestia gigante: “si dice che se si aggrappasse al più grande uomo di mare, lo tirerebbe giù fino al fondo”. Secondo Pontoppidan, i pescatori norvegesi spesso correvano il rischio di provare a pescare sul Kraken, dato che il pescato era così abbondante (da qui il detto “Devi aver pescato sul Kraken”). Pontoppidan propose anche che un esemplare del mostro, “forse uno giovane e sbadato”, fu portato a riva e morì ad Alstahaug nel 1680. Nel 1755, la descrizione di Pontoppidan del kraken era stata tradotta in inglese.
L’autore svedese Jacob Wallenberg descrisse il kraken nell’opera del 1781 Min son på galejan (“Mio figlio sulla galea”):
Kraken, chiamato anche il Pesce Granchio, che non è così enorme, per teste e code contate, non è più grande di quanto sia largo il nostro Öland… Rimane sul fondo del mare, costantemente circondato da innumerevoli piccoli pesci, che gli servono da cibo e sono da lui nutriti in cambio: infatti il suo pasto, (se ricordo bene quello che scrive E. Pontoppidan) non dura più di tre mesi, e altri tre sono poi necessari per digerirlo. I suoi escrementi nutrono in seguito un esercito di pesci minori, e per questa ragione, i pescatori scandagliano il suo luogo di riposo … A poco a poco, il Kraken sale in superficie, e quando si trova a dieci o dodici braccia, le barche farebbero meglio ad allontanarsi dalle sue vicinanze, perché poco dopo esploderà, come un’isola galleggiante, spruzzando acqua dalle sue terribili narici e creando onde anulari intorno a lui, che possono raggiungere molte miglia. Si può dubitare che questo sia il Leviatano di Giobbe?
Nel 1802, il malacologo francese Pierre Dénys de Montfort ha riconosciuto l’esistenza di due tipi di polpo gigante nella Histoire Naturelle Générale et Particulière des Mollusques, una descrizione enciclopedica dei molluschi. Montfort sosteneva che il primo tipo, il polpo kraken, era stato descritto da marinai norvegesi e balenieri americani, così come da scrittori antichi come Plinio il Vecchio. Il secondo tipo, molto più grande, il polpo colossale, sarebbe stato attaccato da un veliero di Saint-Malo, al largo delle coste dell’Angola.
Montfort osò in seguito affermazioni più sensazionali. Propose che dieci navi da guerra britanniche, compresa la nave francese Ville de Paris catturata, che era misteriosamente scomparsa una notte del 1782, dovevano essere state attaccate e affondate da polpi giganti. Gli inglesi, tuttavia, sapevano – per gentile concessione di un sopravvissuto della Ville de Paris – che le navi erano state perse in un uragano al largo della costa di Terranova nel settembre 1782, con conseguente rivelazione vergognosa per Montfort.