Spiral (Engrenages)
Sulla base dei “prcoedurals” americani come New York District o The Wire, Canal+ ha lanciato nel 2005 Spiral con l’ambizione di ritrarre l’intera catena giudiziaria coinvolta in un affare di polizia. Ha giocato sugli archetipi e sul genere come il poliziotto borderline, il giudice onesto, il pubblico ministero ambizioso e soprattutto l’avvocato senza scrupoli interpretato da Audrey Fleurot.
Engrenages
Non fare questo, non fare quello (Fais pas ci fais pas ça)
Siamo onesti: nel decidere di mettere a confronto una famiglia sboccata (The Bouleys) e una famiglia cattolica tradizionale (The Lepics), gli autori di “Don’t do this, don’t do that” non hanno corso molti rischi: i rilievi comici sembravano abbastanza ovvi e le gag potenziali sufficienti per andare in crisi nel corso di diverse stagioni. Tuttavia, la serie ha sorpreso tutti con la sua abile scrittura e gli attori (Guillaume De Tonquedec, Bruno Salomone, Valery Bonnetton) che si sono rivelati rapidamente piuttosto brillanti.
Fais-pas-ci-fais-pas-ca
Palace
La vita quotidiana di un hotel di lusso, visto come un manicomio all’interno del quale la crema della commedia ha fatto il suo giro (François Morel, Valérie Lemercier, François Rollin) o disegnato il suo arco (Jacqueline Maillan, Claude Piéplu, Jean Yanne). Nella grande tradizione teatrale della satira sociale francese, è qui che il grande chic (e l’alta società censurata che lo incarnava) le truppe di Jean Michel-Ribers hanno messo sulla graticola.
Palazzo
Kaboul Kitchen
Dal 2002 al 2008 un ex giornalista di RFI ha tenuto un ristorante a Kabul, riservato ai clienti espatriati. Un luogo di festa dove l’alcool scorre liberamente, nel cuore di un paese rigorosamente musulmano. Questa storia ha disegnato più una commedia con personaggi come il Sig. Gilbert Melki, il cui massacro comico era noto fin da La verità se mento (La vérité si je mens), interpretava il capo del locale. Simon Abkarian, meno avvezzo alle commedie, ha composto un signore della guerra tanto doloroso quanto esuberante.
Kabuol Kitchen
Più bella la vita (Plus belle la vie)
Non vogliamo mentirvi; non siamo spettatori abituali della serie di punta di France 3. Eppure molti dei personaggi ci sono diventati familiari col tempo o guardandola a cena dalla nonna o in una replica tardiva. Per non parlare delle riviste televisive a scaglie per ammazzare il tempo alla cassa del supermercato. Aggiungete il gusto per gli intrighi a doppio senso con la presenza di qualche fiero rappresentante del giovane cinema francese in sala autori (Rebecca Zlotowski per esempio) e otterrete un programma perfettamente hype.
Plus belle la vie
H
Serie di ospedali esilaranti, con scenari disegnati per i capelli con personaggi idioti e/o manipolatori. Tutto risiede nelle interazioni spesso improvvisate tra Eric Judor (Aimé), Jamel Debbouze (Jamel), Ramzy Bedia (Sabri), ma anche Sophie Mounicot (Clara) e l’incredibile Jean-Luc Bideau (Dr. Strauss). Molto simile a Seinfeld, qui ci sono molte bugie e debolezze, ma sono impreziosite da uno spirito felice regressivo e da deformazioni linguistiche di una stupidità luminosa.
H serie
Short (Bref)
Il 29 agosto 2011, gli spettatori di Grand Journal hanno scoperto “Bref”. Una miniserie creata da due autori discreti, Kyan Khjandi e Bruno Muschio, e da un giovane produttore ispirato, Harry Tordjman. Il lancio? Il non-quotidiano di un antieroe, trentenne semi-calvo con tendenza depressiva (molto simile a un certo Louis CK), raccontato ogni sera in 2 minuti crono. 2 minuti crono è anche il tempo che ci è voluto perché questo programma generazionale, notevolmente scritto e prodigiosamente montato, diventasse un fenomeno e i creatori fossero le nuove star della creazione originale francese. Astutamente, il trio ha preferito fermarsi dopo due stagioni: Canal + non è mai riuscito a sostituirli.
Bref
Dieci per cento (Dix pour cent)
Sei episodi di 52 minuti (!) sulla vita di un’agenzia di commedia, interpretati da attori poco conosciuti (tranne Camille Cottin): la scommessa era rischiosa. Serie più o meno adattata sulla vita di Dominique Besnehard (famoso direttore del casting, agente artistico e anche produttore), questa serie è un affascinante tuffo dietro le quinte del cinema francese, oltre che una dichiarazione d’amore agli uomini e alle donne dell’ombra, che hanno fatto e rotto, con più o meno classe, le carriere di alcune delle più grandi star.
Dix-pour-cent
Il ritornato (Les Revenants)
C’è ovviamente una trama misteriosa. I morti tornano in vita, accanto ai loro cari e danno il loro nome alla serie. C’è questo grano familiare particolarmente strano, con la sua diga, le luci bluastre, la montagna e la musica di Mogway. Versione simile a un sogno lynchiano, The Returned trova un mix perfetto in questa miscela di narrazione suspense e di deriva ambientale, ben guidata dal suo eccellente casting (Céline Salette, Samir Guesmi, Guillaume Gouix, Clotilde Hesme…).
Les-revenants
The Bureau (Le Bureau des légendes)
Oh, quanto è complicato raccontare il lavoro di una spia nelle fiction. O è incredibilmente spettacolare ma non abbastanza credibile, tipo James Bond, o è noioso ma basato su fatti storici (Il caso Farewell). E poi, c’è l’impeccabile Bureau: mozzafiato, documentato, ottimamente interpretato (da Mathieu Kassovitz, Jean-Pierre Darroussin e soprattutto Sara Giraudeau). Le numerose scene d’ufficio sono super precise e le scene d’azione ti colpiscono come uno schiaffo. Una vera delizia.
Le-bureau-des-legendes
Un villaggio francese (Un village Français)
Nel 1940, un villaggio fittizio del Giura è in subbuglio all’arrivo dell’esercito tedesco. La serie segue il destino dei suoi abitanti, i loro difetti e segreti. Creato da Frédéric Krivine, Philippe Triboit et Emmanuel Daucé, lo spettacolo obbedisce a questa osservazione ovvia: la guerra, l’occupazione tedesca e la paura del presente hanno spento ogni gioia di vivere e ogni abitante di Villeneuve (piccola sottoprefettura fittizia del Doubs) è infelice a modo suo. Se “A French Village” ha guadagnato così tanto meritato successo, è perché lo show ha accettato di raccontare la vita ordinaria dell’epoca in tutta la sua complessità, ambiguità e incertezza. È una serie appassionante perché solleva la questione essenziale e senza tempo del significato della storia.
Un-village-francais
Kaamelott
Kaamelott è una serie comica francese creata nel 2005 da Alexandre Astier. La serie riscrive la leggenda di Re Artù e ripercorre le avventure di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. La serie ha un totale di 6 libri (o stagioni). Comico nelle sue prime stagioni, lo show comincia a prendere una svolta verso la commedia drammatica a partire dal quinto, prima di passare più significativamente verso il dramma nel libro successivo. Durante la sua evoluzione, la serie ha esteso la durata dei suoi episodi, da un formato sitcom a una durata più lunga, raggiungendo tre quarti d’ora nella sua sesta e ultima stagione.
Kaamelott
Maison Close
In un lussuoso bordello di Parigi, 1971, tre donne cercano di sfuggire alla servitù imposta dagli uomini. La giovanissima Rose arriva a Parigi, alla ricerca di sua madre, ex prostituta. Viene intrappolata da un picchiatore e viene arruolata con la forza in Paradiso. Vera ha trentacinque anni. Sa che la fine della carriera di prostituta è vicina. Punta tutto sul barone di Plessis, il suo principale cliente e l’unico in grado di riscattare il suo debito. Hortense è la protettrice del Paradiso. Deve tenere in riga le sue figlie e resistere alle pressioni di un delinquente di periferia che reclama il suo denaro.
Maison-close
Un ragazzo, una ragazza (Un gars, une fille)
Questa serie racconta con humor la vita quotidiana di una coppia di trentenni: Jean & Alexandra. Dalle situazioni più banali (a letto, in salotto, in cucina, al telefono…) a quelle più eccezionali (persi su un’isola deserta, o nel Vercors, Hong Kong, l’isola Maurice, una separazione, un matrimonio…) la vita di Jean e Alexandra è tutt’altro che un lungo fiume tranquillo.
Un-gars-une-fille
Caméra Café
L’eroina di questa serie e la sua principale originalità è la macchina del caffè, situata nella sala relax, che diventa l’unico punto di vista dello spettatore durante ogni episodio. Gli impiegati sfilano davanti ad essa tutti caricaturali come il prossimo con un umorismo grottesco, a volte anche cinico.
Camera Cafe
Borgia
All’epoca di Leonardo da Vinci, Rodrigue Borgia passa come un papa spietato. I suoi quattro figli rappresentano per lui una sfida importante quanto le manovre dei suoi avversari. Violenza e passioni, nobili cause e basse maestranze, idealismo religioso e pragmatismo politico: sulla carta, la saga della famiglia più sultana del Vaticano era pane benedetto per Tom Fontana. Questa serie coinvolgente, con i suoi abiti accattivanti, i costumi sontuosi, le giovani attrici seducenti, le scene svestite, offre un tuffo emozionante nell’intimità del potere. Dietro il decoro della chiesa cattolica e dei rituali, Borgia racconta la storia di mercanteggiamenti, bugie, alleanze rovesciate, e altre mosse contorte che comportano la conquista e il controllo del potere.
Borgia