I lungometraggi ci invitano a sfidare la realtà, a credere a una finzione, a sospendere l’incredulità. L’attore deve rendere l’irreale, reale. Jodie Foster l’ha fatto in passato con notevole successo e una serie di premi e spesso ha scelto storie parallele alla nostra riluttanza ad accettare: una vittima di stupro a cui nessuno credeva, una paranoica in una stanza chiusa a chiave che aveva tutte le ragioni per avere paura, una scienziata che trova le prove degli alieni. In Flightplan va oltre: una madre che perde la figlia durante un volo transatlantico e a cui nessuno (compreso, il più delle volte, il pubblico) crede.
L’ingegnere aeronautico Kyle Pratt (Jodie Foster) è devastata dalla morte improvvisa del marito. Riporta il suo corpo a New York su un aereo di linea all’avanguardia da lei progettato. Sonnecchiando per qualche minuto sull’aereo, si sveglia e scopre che sua figlia di sei anni è scomparsa. Le ricerche frenetiche si susseguono mentre le prove crescenti suggeriscono che la figlia non è mai stata a bordo.
Flightplan combina un thriller psicologico teso con un mistero sempre più profondo e un tremendo impatto emotivo. Ma l’epilogo giustifica la trama, il cambio di posizione che siamo costretti ad adottare sulla sanità mentale di Kyle e sull’esistenza di sua figlia? O è semplicemente una storia che sfrutta l’attuale apprensione dei passeggeri per i dirottamenti e il notevole talento recitativo della Foster? La Foster è al suo meglio, una donna indignata e molto intelligente, con il dolore imbottigliato e a malapena contenuto di una madre che fornisce una forza emotiva ribollente.
E’ una prova notevole del talento della Foster che può portare una storia così improbabile. Impregna lo spazio ristretto di un aereo con un’energia che non appassisce per un momento e assicura che la nostra attenzione non si affievolisca mai. Abilmente assistita da Sean Bean nel ruolo del capitano, che vuole darle il beneficio del dubbio ma è sempre più costretto ad accettare le prove dei suoi stessi occhi, e dal maresciallo dell’aria Peter Sarsgaard che interpreta un personaggio interessante ma imperscrutabile, siamo ipnotizzati da Kyle Pratt e dalla nostra stessa difficoltà nel sapere se crederle. Se la storia fosse degna di un tale talento è meno chiaro. Man mano che i pezzi si dipanano ci viene presentata una sconcertante complessità di informazioni di fondo che, senza Foster a portarle o una logica hitchcockiana a dimostrarlo, siamo tentati di liquidare con Flightplan come troppo ambizioso. Come esercizio di recitazione potente che sta in piedi come un thriller del sabato sera, Flightplan consegna in Club Class, ma come somma delle sue parti è contorto e pieno di velleità come qualcuno che cerca di allungarsi in Economy.